Vi giro due articoli interessanti, visto che girano sulle mailing list dell'Associazione Software Libero. Ecco il primo, Emanuele ----- Forwarded message from *** ----- da ilmanifesto.it MICROSOFT, LA SORGENTE DEL CONSENSO Miglioramenti e innovazione grazie agli utenti-programmatori. Una condivisione lontana dallo «spazio aperto» del freesoftware di Linux. La nuova strategia dello «Shared Source Programme» spiegata da Fabio Falzea, Peter J. Houston e Jason Matusow, dirigenti della società di Bill Gates di ARTURO DI CORINTO Via degli Uffici del Vicario, numero 43. Sede di Microsoft Italia a Roma. L'invito è per un incontro informale con alcuni top manager di Microsoft Corporation, nato dopo la lettura di una piccola inchiesta sul «movimento del software libero» apparsa in settembre su queste pagine. I manager arrivano tutti insieme: Fabio Falzea, direttore italiano del Corporate Marketing, Peter J. Houston direttore delle strategie di MS-Windows, Jason Matusow, responsabile dello Shared Source Programme di Microsoft. Ad accompagnarli Jennifer Todd, analista di comunicazione strategica per la Waggener Edstrom. Lingua dell'incontro: l'inglese. I manager della Microsoft tengono a precisare che l'invito è «per uno scambio di idee». E' chiaro però che il tema dominante riguarda Linux, il sistema operativo che secondo molti analisti è diretto concorrente con quello prodotto dalla società di Bill Gates, e la strategia per contrastare il movimento del freesoftware. All'unisono i manager affermano: «vogliamo prendere Linux molto seriamente. Perché dall'esempio di Linux possiamo imparare». Ma come? Linux non era il vostro tormento? «No, perché il nostro concorrente non è Linux ma l'Ibm. Non crediamo che il grande pubblico passerà mai da Ms-Windows a Linux. Però per competere meglio abbiamo avviato un progetto industriale di condivisione del codice sorgente: la Shared Source Initiative». In altri termini, la società di Bill Gates è preoccupata del fatto che L'Ibm abbia scelto Linux per sviluppare i suoi programmi applicativi e che il «valore aggiunto» è rappresentato dalla consulenza organizzativa. Il codice sorgente è l'insieme delle istruzioni che sono alla base del funzionamento del computer e cos'è lo shared source ce lo spiega Matusow. «Si tratta di un nuovo modello di licenza d'uso dei programmi che permette ai clienti Microsoft l'accesso al codice sorgente pur mantenendo la proprietà intellettuale nelle nostre mani. L'iniziativa - continua il dirigente della Microsoft - è finalizzata a mettere la Microsoft in condizioni di operare con più efficacia e rapidità e di favorire la creazione di standard aperti per sviluppare nuove applicazioni e potenziare i prodotti esistenti». Fin qui, niente di nuovo, se non la scelta di «aprire» i propri programmi, una decisione che appare come un vero dietrofront nella strategia commerciale della casa madre di Redmond. Con questa iniziativa il grande monopolista riconosce infatti che la «trasparenza» del codice consente agli utilizzatori di conoscerlo, studiarlo e quindi dà maggiore garanzie nelle prestazioni e della sicurezza. Inoltre gli «utenti» possono migliorarlo, rendendo più rapidi e meno costosi gli interventi nella soluzione dei problemi che il software potrebbe incontrare nella sua applicazione. Detto altrimenti, il lavoro distribuito di tanti programmatori che agiscono come una community garantisce una fonte inesauribile di innovazione. Ma se queste sono le premesse, perché non aderire direttamente alla filosofia dell'open source? In fondo si tratta della stessa cosa. O no? E se sì perché avviare lo shared source program? Houston e Matusow rispondono che i motivi sono due: il primo è che l'open Source non garantisce un livello adeguato di protezione dei diritti di proprietà intellettuale sul software. Il secondo è che l'open source non garantisce «adeguati ritorni di carattere economico». Houston sostiene che la proprietà intellettuale va adeguatamente protetta perché è attraverso di essa che l'industria si garantisce le risorse per continuare ad innovare la tecnologia e a «produrre profitti per la tutta la filiera di programmatori e rivenditori». Al contrario, conclude, dell'open source. Secondo i rappresentanti di Microsoft, lo «shared source permette di dare risposte adeguate ai clienti che chiedono di essere coinvolti nel processo di sviluppo del software. Con questo tipo di contratto commerciale sono inoltre protetti i proventi derivanti dal copyright». La prima obiezione è che anche il software libero rende possibile «il fare impresa», basti riflettere sul numero, relativamente elevato, di piccole e medie aziende che fanno affari con Linux. Un'opinione non condivisa dai tre dirigenti della Microsoft, che sottolineano il fatto che gli unici guadagni nell'open source provengono dall'assistenza e dalla manutenzione: servizi che hanno costi tanto elevati da rendere diseconomico l'utilizzo di software open source anche se acquistato a basso costo. Ma i tre dirigenti ripetono continuamente che per un'azienda di software il patrimonio principale, il core assett, da difendere è «la proprietà intellettuale. Per Microsoft - spiega Houston - la questione è trovare un punto di equilibrio tra i benefici derivanti dalla creazione di una community intorno ai suoi prodotti e allo stesso tempo tutelare la proprietà intellettuale». Per Houston, le community informali di programmatori non possono sostituirsi all'organizzazione aziendale nel creare prodotti efficienti e utili. Per il dirigente, Linux e i prodotti Gpl non saranno «in grado di garantire il networking e l'interoperabilità fra sistemi diversi come il pc casalingo, le workstation aziendali, gli apparati mobili e da taschino». Fin qui è chiaro il punto di vista della Microsoft: Linux non può competere con Microsoft e Microsoft non è interessata a competere con Linux. E tuttavia la strategia dello shared source program tende a contrastare la diffusione di una attitudine - la scrittura cooperativa del software e la sua libera diffusione - egemone su Internet, che ha messo in discussione un modello di circolazione del sapere basato su una centralizzazione della sua distribuzione. In altri termini, per Microsoft, ci deve essere un centro che definisce le regole di accesso, mantenendo al tempo stesso il controllo sulla produzione di sapere. Lo shared source sembra quindi la risposta a comportamenti sociali - la cooperazione, il dono, lo scambio, il riuso del codice e delle informazioni - di cui Gnu/Linux è l'esempio paradigmatico. La strategia della Microsoft è tuttavia, come l'ha definita Franco Carlini su il manifesto del 6 ottobre, una «terza via» tra software proprietario e open source. Una prima perplessità: se il codice sorgente rimane di proprietà della Microsoft, qualsiasi innovazione prodotta nell'economia di rete innescata dalla scoietà di Bill Gates sarà a suo vantaggio. In primo luogo, perché continuerà a detenere la proprietà intellettuale, riducendo al tempo stesso e radicalmente gli investimenti in ricerca e sviluppo. Ricerca e sviluppo che saranno delegati implicitamente ai suoi clienti, i quali, conoscendo il codice sorgente, lo miglioreranno. Per di più, è evidente che uno degli obiettivi della Microsoft è di renderli più fedeli . Una «fidelizzazione» come la chiamano gli economisti che altro non è che una nuova dipendenza nel senso in cui la intende Jeremy Rifkin ne L'era dell'accesso. Secondo lo studioso americano infatti la partita del futuro non si gioca sul possesso ma sull'accesso a beni, merci e servizi, sia che si tratti di comunicazione a distanza, che un videogame, l'uso di un editor di testi. Non si acquista più il bene o la merce, ma si paga un gettone per usarle. E veniamo alla qualità dei prodotti. Quella del software targato Microsoft è stata ripetutamente criticata e stigmatizzata. Rendere partecipi i clienti del codice sorgente permetterebbe anche di migliorare la qualità del software. In altri termini, Microsoft vorrebbe fare ciò che è riuscito nella produzione del software libero: cooperare per scrivere dei buoni programmi. Il software libero si è diffuso grazie alla convinzione che la conoscenza, l'intelligenza inserita nei programmi per computer è di tutti e che come tale vada condivisa. Inoltre, si è diffuso perché è affidabile e scriverlo insieme è divertente. È questo lo rende un fenomeno sociale. Non solo. Alla base del software libero c'è da sempre l'idea che da questa conoscenza comune ciascuno può sviluppare il proprio modello di «business profittevole». Ormai ci sono decine di pubblicazioni, seminari, libri che dimostrano che software libero non è sinonimo di gratuità. Può sembrare contraddittorio, ma è ormai certo che orami il rifiuto del copyright è agitato anche da chi vuole sviluppare un business nei territori di frontiera della net-economy. Microsoft sa meglio di chiunque altro che la vera battaglia commerciale si gioca sugli standard (specifiche tecniche che si portano dietro tutto un mondo di idee, valori e comportamenti d'uso) che, una volta imposti, sono duri da cambiare. Il software libero rappresenta un nuovo treno che si inoltra su un territorio da conquistare, ma questa volta la Microsoft non si affanna a rincorrerlo, ma gli attacca semplicemente un altro vagone. Quello dello shared source, appunto. I dirigenti della Microsoft sono sintetici: «la qualità del software è un nostro obiettivo da sempre». Altro argomento spinoso. Si tratta delle pressioni esercitati da governi e istituzioni di molti paesi sempre più preoccupati di non controllare direttamente gli strumenti della governance elettronica; e soprattutto il timore che in alcuni paesi, come l'Italia, possa essere introdotto per decreto il software open source nella Pubblica Amministrazione, nella scuola, negli ospedali. Un timore confermato da Fabio Falzea, che afferma di temere le iniziative di legge, come quella del senatore Fiorello Cortiana, che prevedono l'adozione dell'open source nel settore pubblico. Per il dirigente di Microsoft Italia, è una legge che, se venisse approvata, distorcerebbe il mercato e la concorrenza. L'incontro è quasi giunto al termine e vale la pena di riassumere i temi affrontati: lo shared source non viene presentato come l'ennesima patch aggiunta a un sistema ormai difettoso, quello del copyright sulle idee, ma una strategia di marketing volta a «fidelizzare» il cliente trasformandolo da utilizzatore in «partner» e scaricando all'esterno i costi della ricerca e dello sviluppo, guadagnandoci in immagine e riposizionando il proprio marchio (rebranding) sul mercato della proprietà intellettuale. Falzea, come Houston prima di lui, ripete l'adagio. «Non temiamo la competizione, anzi la cerchiamo, perché è il motore dell'innovazione, ma all'interno di un mercato libero da condizionamenti di carattere politico». Ovvia l'obiezione che l'Italia non è un paese dal libero mercato e che anzi c'è un chiaro abuso di posizione dominante nel campo dell'editoria e della comunicazione, che rende il nostro paese una vera e propria anomalia fra i paesi democratici: anonalia dovuta al conflitto d'interessi del presidente del consiglio. Silenzio in sala. Imbarazzo c'è anche quando viene chiesto se è cambiato qualcosa nelle strategie Microsoft dopo l'attacco alle Twin Towers? O meglio: se è vero che che i terroristi possono usare Internet per colpire le infrastrutture energetiche, dei trasporti, della difesa, vi sentite chiamati in causa circa le questioni della sicurezza? La risposta è un secco no. Per Houston «il problema è nel network, nelle infrastrutture di comunicazione, e non riguarda Microsoft». E sulla probabile guerra contro l'Iraq? «Scusa ma che c'entra?», rispondono quasi all'unisono. C'entra col fatto che i computer professionals sono spesso dei liberal, e più di una volta si sono pronunciati contro la guerra e la limitazione delle libertà civili. Possibile che non ci siano ripercussioni anche all'interno della Microsoft? «I nostri professionals lavorano duro, sono efficienti. Alcuni di loro fuori dell'azienda sono impegnati in attività sociali, ma quando si lavora, si lavora...». _______________________________________________ Discussioni mailing list Discussioni@xxxxxxxxxxxxxxxxx http://lists.softwarelibero.it/mailman/listinfo/discussioni Totale iscritti: 139 ----- End forwarded message ----- -- Per iscriversi (o disiscriversi), basta spedire un messaggio con SOGGETTO "subscribe" (o "unsubscribe") a mailto:linuxtrent-request@xxxxxxxxxxxxx